5 febbraio 2017 - Relazione svolta al Corso formativo per operatori presso il Centro dell'Anziano "Villa Cenacolo" di Lentate sul Seveso A.I.P.e F. - Associazione Italiana Psicanalisi e Famiglia
a cura di Felice Agostino Manzotti e Laura Sivieri
Eviteremo questa sera di soffermarci sull'elencazione delle patologie più ricorrenti nell'anziano istituzionalizzato, cosa che reputiamo sia maggiormente consona all'illustrazione del neurologo. Quello che ci preme maggiormente approfondire in continuità con gli incontri precedenti è la precisazione circa le varie emozioni con cui quotidianamente siamo chiamati a fare i conti e dalla cui buona gestione dipende il nostro successo relazionale ed anche “ terapeutico”. E' possibile comunque affermare che è il quadro della demenza senile a fare da padrone, con le connesse alterazioni sul piano della memoria, dell'intelligenza, della personalità, affettivo, disorientamento spazio temporale...
Sebbene non sia mai opportuno utilizzare la generalizzazione in medicina, tanto meno in psicologia e quindi anche nei rapporti, è corretto affermare che nell'anziano con questi deficit, si assiste ad un ingigantimento di comportamenti individuali pre-esistenti. In coloro che presentavano un' attitudine all'indecisione, alla scarsa autostima, al pessimismo, alla malinconia, sarà facile notare un rafforzamento della modalità di tipo depressivo, legata al disvalore, per altro comune a tutti gli anziani, perché culturalmente e praticamente ci si sente “tagliati fuori” dalla catena produttiva.
Nell'aria che respiriamo, oltre alla presenza di ossigeno e anidride carbonica infatti è possibile “inalare” contemporaneamente il pensiero cosiddetto dominante. Questo è il pensiero che va per la maggiore e si riferisce al valore economico produttivo d'immagine. Questo riferito all'identità si traduce nel: “io sono perché faccio” , "io sono perché possiedo, perché sono nuovo, agile, originale”. L'anziano con deterioramento mentale, per molti anni nella sua vita ha respirato questa “aria” e ora si scopre sempre meno nuovo, meno agile, meno originale, sino all' “ormai...”.
L'altro vissuto che si rileva negli anziani ospiti in diverse R.S.A è quello dell'agitazione. Per l'anziano che si è troppo controllato o è stato eccessivamente controllato ( ritmi di lavoro, obblighi da assolvere, scadenze da saldare, rapporto di coppia in cui uno può più dell'altro) il deficit a carico del distretto deputato al controllo inibizione del “cervello antico”, quello filogeneticamente più arcaico ed istintivo, permette l'esternazione e la liberazione di comportamenti abnormi e quasi opposti alla “calma controllata” precedente.
Come nell'arco riflesso in neurologia, ma lo stesso accade negli animali che non possiedono la nostra eccezionale struttura corticale superiore, ad uno stimolo segue una risposta rapida, non mediata da altri passaggi o connessioni neuronali e/o meta-numeriche complesse, nell'anziano così disinibito ad uno stimolo che può recepire ( alterazione della percezione) come attivante, ma anche come provocatorio, sarà facile rispondere in modo istintivo, anche aggressivo, amplificando magari la “ sensazione” del momento. Allora dobbiamo necessariamente riprendere il discorso delle induzioni emotive: se l'operatore non affinasse la distinzione circa l'appartenenza dei vissuti, delle emozioni percepite dal paziente, distanziandole dalle proprie , magari aspettando un momento prima di produrre una risposta “ fisica”, correrebbe il rischio di “agirle” altrettanto istintivamente.
Se alcune maestre possono andare in difficoltà di fronte all'agitazione di bambini di 8 anni (è di questi giorni la notizia del morso ad un alunna da parte di un maestro di scuola elementare) non deve avvertire difficoltà l'operatore sanitario che lavora con persone di 80 anni che realizzano costantemente la frustrazione dell'involuzione ? Sicuramente alle 10 del mattino per chi comincia il proprio turno alle ore 8; al terzo mese di lavoro nella Casa di riposo, il rischio di una reazione istintiva è pressoché nullo. Ma per chi è esposto ad un bombardamento di vissuti pesanti per oltre un quinquennio, tale nefasta opportunità, sorveglia sempre le porte di accesso.
L'agitazione dell'anziano può essere anche il risultato di una vita, ed è altresì sostenuta dalla perdita di alcuni punti di riferimento, dall'ammettere a se stessi di non essere più autonomi, la squalifica. L'agitazione dunque nell'anziano può “fare da aperitivo” alla rabbia. Ne distinguiamo una di tipo difensivo (come quella dell'animale ferito che alla vista del soccorritore, poiché già provato da tanta fatica e sofferenza, temendo un' ulteriore esperienza di dolore, allontana il soccorritore con il digrignare dei denti) e un'altra a carattere di richiesta di aiuto e di rapporto. Richiesta che non riesce ad esternare in altro modo se non usando l'istintività, in cui finalmente può liberare , quasi con effetto catartico, quella sana aggressività che magari nella vita non ha mai osato esprimere a volte per una sorta di eccessivo “galateo”. La rabbia quindi è l'altra faccia della paura, la paura di soffrire, ma anche dell'angoscia di morte.
Annotiamo una forma di paura che stimola ad una risposta “attiva” ed un'altra che porta al blocco.
P.) che....stava bene....e adesso, colpita alla malattia, si da sempre da fare per ristabilirsi; utilizza a suo favore la “ sensazione negativa” come energia-sfida per tornare alla condizione migliore.
M.) considerato da tutti già timoroso di natura... con quello che gli è successo, chissà come reagirà?!
Alle varie paure appartenenti ad individui unico, risulta necessario rispondere differentemente. Ciò che si potrà dire all'uno, converrà tacerlo all'altro, quello che sottolineeremo a Tizio, lo bisbiglieremo a Caio. La sana paura che l'operatore sanitario invece è necessario che conservi è quella del non incorrere nella sommarietà, nella grossolanità, il non dare per scontato , situazioni, reazioni e sentimenti altrui.
Ecco un esempio di quanto affermiamo : “La moglie di A, colto da malore e portato d'urgenza in ospedale, è in attesa da più di mezzora alla porta del Pronto Soccorso di un Ospedale. Esce il medico con l'orologio del paziente tra le mani. La moglie riconosce l'oggetto e ha “un brutto presentimento”. Alla ovvia domanda carica di angoscia: “allora dottore?”, si sente rispondere “non si preoccupi, tenga l'orologio, suo marito verrà trasferito in un altro ospedale, per ulteriori indagini, ma non si preoccupi, vedrà che andrà tutto bene”. Questa vicenda si è poi conclusa con un lieto fine, ma nella mente e nel cuore della donna, sono rimasti impressi, come ci ha raccontato a distanza di due anni , quei 5 secondi in cui tra le mani di quel medico, insieme all'orologio del marito, ella ha intravisto anche la possibilità della morte del marito stesso. Di quanta delicatezza dunque si necessita in alcuni momenti ed invece quanto il ritmo del mondo procede con pesanti rotolamenti!
Come suggeriva la volta scorsa una vostra collega, è opportuno spiegare inizialmente come si procederà con il trattamento assistenziale, che si farà il possibile per ottenere il risultato soddisfacente per entrambi. Allora anche il contatto fisico lo possiamo trasformare da foriero di “preoccupazioneminaccia” per improbabili danni e imbarazzi, in accoglienza e partecipazione. E' comprensibile una certa apprensione nei primi giorni (ricordiamoci che la memoria a breve termine è quella che si dimentica precocemente) nell'affidare ad un tecnico un parte di sé, che poi simbolicamente rappresenta l'unità inscindibile corpo-mente-spirito.
“Cosa mi potrà capitare?”, pare che umanamente chiedano certi sguardi degli anziani ospiti in R.S.A. La parola è di per se riabilitante come la pelle, confine tra mondo interno e ciò che mostriamo all'esterno, l'organo della disponibilità ad accettare ed accogliere la sincerità di sé e la dignità dell'altro. Le frasi positive pronunciate, come le mani che toccano, aprono alla fiducia, alla collaborazione, al rapporto costruttivo e redditizio per entrambi e richiedono tempi e modi altrettanto adeguati. Chi ha paura non di rado tende a negare il positivo, a sottovalutare i progressi raggiunti, preferendo inconsciamente una certa sfiducia di fondo; del tipo: “gli altri sono più... di me, chissà quando diventerò bravo come loro!” La “cronicizzazione” della paura, può causare nell' operatore blocco e impotenza. Piano piano all'operatività, si sostituisce un'azione limitate, una parziale propensione al movimento, fino alla non-azione. Altrettanto frequentemente viene sostenuta dal non sentirsi capiti come operatori, per cui: “non vale la pena di impegnarsi troppo”.
A volte il senso di impotenza è il risultato di un lungo training negativo a cui l'utente è stato sottoposto involontariamente in passato (ad esempio frasi ricorrenti nell'ambito familiare in cui prevaleva il “ti andrà sempre male”, “non sei capace di”) Dal punto di vista professionale l'induzione a cui far attenzione è duplice: alcuni pazienti possono inconsapevolmente “interferire” nell'intervento dell'operatore, attraverso il loro marcato disturbo motivazionale .
Questo sia nel senso di una riduzione , del lasciar perdere, sia nella direzione opposta, ovvero sollecitandolo a compiti sproporzionati per le capacità. In realtà queste dinamiche fungono da copertura al proprio senso di timore e inadeguatezza e possono risultare addirittura controproducenti. Ad esempio per i fisioterapisti un'esagerata osservanza dell'allenamento in posizione prona in pazienti anziani con artroprotesi dell'anca e con problematiche cardio-respiratori.
Depressione, paura, angoscia, impotenza, apatia, ci richiamano ad una serie di interessanti collegamenti ed associazioni, anche grazie ad altre discipline, quali la medicina tradizionale cinese e la psicanalisi, utili a comprendere la realtà psicofisica del nostro interlocutore. Un abnorme ricorso al sonno è da intendersi ad esempio come iniziale segnale- modalità di depressione; la paura manifestazione emotiva controllata per la medicina tradizionale cinese dal meridiano rene-vescica, può manifestarsi con disturbi della minzione (come accade dopo un forte spavento) con la sensazione di freddo, con la alcuni dolori nella zona lombare.
L'angoscia invece si localizza maggiormente a livello del respiro, attraverso un senso di oppressione e costrizione precordiale e sovente riguarda episodi poco attinenti con il reale (angoscia di morte). L'impotenza ci dà l'idea dell'ipostenia, del deficit muscolare, della rarefazione di tutto ciò che è dinamicità, evoluzione-maturazione. L'apatia ci comunica addirittura l'assenza di pathos, di sentimento, scarsa circolazione di idee, di investimento affettivo, di sangue, di linfa, il tessuto adiposo, la stagnazione, l'indifferenza. Per assurdo, l'operatore sanitario rischia di rispondere a tutte queste richieste d'aiuto, con la fantasia di onnipotenza, dell'intervento risolutivo. Alcuni tecnici, specie nel campo socio-assistenziale, hanno anche rischiato il burn-out per l'eccessivo coinvolgimento in situazioni che andavano affrontate con un altro passo. Anche l'eccessiva rigidità espressa dal controllo sugli orari abitudinari dell'assistenza, caratterizza l'anziano. E' quindi utile dove possibile, essere elastici nella soddisfazione dei bisogni.
Sul versante della sessualità, contrariamente a quello che si pensa, l'anziano è tutt'altro che asessuato. Tra i 75 e 92 anni, secondo Mc. Cary, quasi il quarantotto per cento di un vasto campione di soggetti intervistati, esercita il coito con grande soddisfazione. All'interno dell'istituzione una tale realtà cambia, ma è registrabile anche un sottile meccanismo emotivo-induttivo che può influire negativamente sulla sfera dell'operatore. L'operatore può, entrando in grande empatia emotiva con l'ospite anziano, riproporre atteggiamenti “adolescenziali”, specialmente riferiti all'eros, proprio come risposta all'angoscia di morte sperimentata ogni giorno a contatto con l'anziano ospite in R.S.A. Questa situazione si può tradurre per l'operatore, sia nelle forme goliardiche verbali tipo battute, sia in forme più pericolose che possono talvolta portarlo al dubbio circa la certezza della propria stabilità affettiva.
Vediamo quindi ancora una volta come sia indispensabile per un operatore avere degli strumenti per l' analisi delle comunicazioni emotive ricevute nel rapporto con l'anziano assistito. Non molti anni fa, queste problematiche erano inesistenti, o non riconosciute, la vecchiaia coincideva maggiormente con un’interpretazione di invecchiamento muscolare scheletrico ed il discorso emotivo veniva meno studiato, anche perché il paziente aveva un età di decesso decisamente inferiore a quella attuale.
Un suggerimento che ricordiamo, prima a noi stessi, ma pensiamo sia sempre utile per tutti, è il ricorso continuo al pensiero sano, da contrapporre a tutto questo mare di difficoltà emotive, che la patologia dell'anziano suscita: entrare in empatia, in sintonia, stimolare il sorriso, l'utilizzo delle capacità residue, sia fisiche che di ricchezza interiore, mantenendo la contentezza per l'importanza del proprio ruolo, poiché si lavora con le persone e per le persone.
A.I.P.e F. - Associazione Italiana Psicanalisi e Famiglia
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