22 dicembre 2016 - Giuliana Montesanto
Intervento tenuto durante gli incontri del Corso di Counseling” L’arte di prendersi cura di sé e degli altri” per medici e personale sanitario della USL ROMA A
Dott.ssa Giuliana Montesanto - Responsabile scientifico
Andiamo a vedere i significati della parola fragilità: Scarsa consistenza, scarsa durata, gracilità, debolezza, transitorietà e caducità, trepidità morale e debilità. Precarietà, instabilità. Vulnerabilità, sensibilità e ipersensibilità, delicatezza, indifesa e inerme umanità. La fragilità fa parte della vita. Noi facciamo i conti continuamente con la fragilità delle persone che chiedono il nostro aiuto, ma tutti, se ci pensiamo bene, abbiamo il timore di non essere ascoltati, di non essere riconosciuti nella nostra insicurezza, nel bisogno di ascolto e di aiuto. In verità tutti rimaniamo feriti dalle persone e dalle relazioni fredde, non gentili, glaciali, indifferenti e ci sentiamo più deboli e insicuri.
Il silenzio e le parole ci possono dare dolore… ma, allo stesso modo, il silenzio e le parole possono darci sollievo. Per ascoltare c’è bisogno del silenzio. Per silenzio intendiamo il silenzio soprattutto interiore, che è vero ascolto. Per silenzio, quando incontriamo qualcuno, intendiamo quello che può significare desiderio di solitudine, profonda tristezza, ostilità, chiusura e sfiducia, profonda riflessione.
“La parola che tace è talora più importante della parola che parla”. In che modo ci poniamo di fronte alla fragilità indifesa di una persona che soffre? Come avviene in un ospedale l’incontro con un malato? Se già siamo fragili, quando c’è la malattia il nostro modo di vivere come ne viene modificato? La malattia fa emergere non solo le nostre angosce, le angosce di morte, il senso di solitudine e la nostra disperazione, la nostra sensibilità. Inoltre emergono la nostalgia di vicinanza e di amore, il bisogno di accoglienza, di gentilezza e di solidarietà.
Come viene trattato il corpo di un malato? Monique Selz in un suo libro sul pudore si confronta con la fragilità del corpo malato e con le ferite non di rado inferte da chi cura: “Oggi, più che mai, il corpo umano viene strumentalizzato, sezionato, manipolato da tecniche esplorative e di cura sempre più “competitive,” ai fini del “progresso.” I medici, diventati dei supertecnici, non hanno, in molti casi, più tempo per parlare con i malati e con le loro famiglie. La “visita del primario”, con il corollario delle venti persone che circondano il letto di un malato, potrebbe sembrare il segno che ci si interessa davvero alla patologia di un “paziente”. Ma questo significa dimenticare un po’ troppo frettolosamente che dietro quel “caso” medico c’è una persona che, per quanto soddisfatta di suscitare l’interesse di chi la deve curare, desidererebbe soprattutto non essere esibita a quel modo di fronte a tanti sguardi curiosi.”2 Eppure a volte basterebbe semplicemente un sorriso per portare sollievo alla sofferenza. Le persone fragili non hanno bisogno solo di farmaci, ma di presenza e vicinanza umana, di capacità di ascolto, di solidarietà, del senso di stare in una comunità nella quale chi è più forte è in grado di dare una mano al più debole.
Albert Espinosa, uno dei più noti scrittori, registi e autori di teatro spagnoli, il quale ha scritto Il mondo giallo, da cui è stata tratta la fiction “Braccialetti rossi”, in cui ha descritto l’intensa esperienza dei suoi dieci anni segnati dal tumore, descrive bene quanto sono speciali quelle persone che ti fanno sentire speciale, tanto da inserirle tra i “gialli”, cioè si tratta di “una persona che riveste un significato speciale nella tua vita. I gialli si collocano tra gli amici e gli amori. Non è necessario vederli spesso né rimanere in contatto con loro…. In spagnolo amor, amistad, amarillos (amore, amicizia, giallo) cominciano con am-. Non la credo affatto una coincidenza, anzi sono sicuro che la radice am-abbia un significato legato al dare…”3
E ancora…. “Trovare un medico per me vuol dire incontrare qualcuno capace di guarirti o di ascoltarti. Sono indispensabili, fanno parte della rete dei gialli o degli amici. Per questo bisogna poterli classificare e differenziare: così, se dovessi stare male, saprai che devi rivolgerti a quel genere di amici gialli medici. Gli infermieri (maschi o femmine) sono (ora e in futuro) quelle persone pronte ad accompagnarti dappertutto, sostenerti in silenzio o rimanerti accanto, qualunque sia il problema. Sono le persone alle quali sei grato per le infinite attenzioni che hanno per te, ad esempio per averti accompagnato a un impegno noioso in un bel giorno d’estate, quando se ne potevano rimanere tranquille e beate in spiaggia. Sono gesti che non hanno prezzo”.4
Abbiamo visto all’inizio del discorso che tutti noi abbiamo bisogno di affetto e amorevolezza, non di distanza e di ostilità. Siamo nati per stare insieme, il misantropo è un’eccezione in tutte le culture, non è una regola. Oggi poi si sa per gli studi di psicologia, per i biologi dello sviluppo e i ricercatori pediatrici e gli scienziati della cognizione che si può parlare di esseri umani pienamente formati se si è in grado di sentire e di manifestare empatia. I bambini appena nati cominciano a mimare le espressioni facciali; a un mese già sorridono, aprono la bocca imitando la mamma o chi lo sta facendo; a nove mesi il bambino imita la madre nelle sue espressioni di gioia o di tristezza. Se stiamo vedendo un film o un programma televisivo, inconsapevolmente imitiamo le espressioni dei personaggi. Spesso imitiamo le posture del corpo, i movimenti o l’emotività delle persone a cui siamo più legati o che frequentiamo di più. La scoperta recente dei neuroni specchio nella corteccia premotoria delle scimmie e dell’uomo spiega neurologicamente come mai si attiva questa imitazione.
Altri studi (Hoffman) hanno evidenziato che quando le persone si imitano esprimono soprattutto solidarietà, cioè manifestano una reazione consapevole e appropriata alla situazione di un altro, manifestano attenzione, sostegno e conforto all’altro. L’empatia è la capacità di sentire la lotta altrui come propria, ma è possibile solo se si è consapevoli della fragilità della propria esistenza e della propria mortalità. La forma più matura di empatia si ha quando si è in contatto con la consapevolezza della morte propria e degli altri. Mentre l’invincibilità, l’invulnerabilità, il perfezionismo, che è altro dal perfezionamento delle competenze, sono modi, meglio difese, per respingere la morte.
Essere perfetti significa trascendere i limiti dello spazio e del tempo imposti al nostro essere comuni mortali, con un corpo ed una vita limitati. L’empatia invece non nega la natura temporanea dell’esperienza corporea. Paradossalmente ci fa trascendere la morte in modo completamente diverso. Ne riconosce la fragilità e ci può, perciò, far vivere più pienamente la vita.
L'AUTRICE
Dott.ssa Giuliana Montesanto
Responsabile scientifico della Scuola di Art-Counseling di CinemAvvenire, psicologa, psicoterapeuta, Counselor Trainer FAIP Counseling.
1 Intervento tenuto durante gli incontri del Corso di Counseling” L’arte di prendersi cura di sé e degli altri” per medici e personale sanitario della USL ROMA A
2 M. Selz, Il pudore. Un luogo di libertà, Einaudi, Torino 2005
3 A. Espinoza, Braccialetti rossi, Salani Editore, Milano 2014
4 Op. cit. pag. 98,99