

#PensieriFaip
Spazi che assumono le forme di una normalità nuova e una socialità ancora tutta da ripensare; è il vissuto all'epoca del Covid-19, che ci racconta il Dott. A. Quadernucci, una riflessione che vogliamo condividere con voi.
Carissimi Amici,
Adesso che il periodo più gravoso della pandemia è alle spalle, è il momento di ricordare e analizzare quel periodo così invasivo e stravolgente della nostra quotidianità per evitare di dimenticare o sminuire ciò che è stato e che ha cambiato la nostra vita per renderlo un’ulteriore esperienza di crescita.
Già ora forse può sembrare di essere tornati alla nostra quotidianità, ma non è così: l’impegno nel nostro lavoro e il tempo che questo ci prende forse sono gli stessi, ma il rapporto con i nostri cari, con i nostri clienti, con gli spazi che percorriamo quotidianamente, non lo è più.
Molti di noi hanno ancora vivo nel ricordo la lontananza forzata dai loro familiari e dai loro figli, l’impossibilità di stare vicini ai loro cari ammalati, di non aver potuto vivere come sarebbe stato giusto il lutto per una perdita, e il blocco delle loro attività, la paura per il proprio sostentamento, l’incertezza per il futuro.
Gli spazi della città ci obbligano ad un’attenzione che nostro malgrado dobbiamo mantenere. Le nostre relazioni ci impongono (chissà per quanto ancora) delle regole e delle attenzioni che dobbiamo mentalizzare forzando le nostre abitudini: incontrarsi senza stringere la mano e senza abbracciarci, parlare vis a vis a distanza, sono regole che non ci vengono spontanee e che dobbiamo ancora faticare a mantenere.
Tenere o no la mascherina, per esempio, è una domanda che siamo costretti a porci continuamente:
Con te, la devo tenere o posso toglierla? Ti dispiacerà se la tengo? O te la prenderai se continuo a tenerla? Ti mostro più rispetto togliendola o tenendola?
Nelle persone si sono strutturati due diversi modi di porsi in confronto alle nuove regole sociali prescritte (e ancora colpevolmente non chiare):
Ci sono quelli che si rapportano riprendendosi le modalità comunicative pre-virus, e quelli che hanno accettato di stare alle nuove regole.
La tentazione è di criticare la posizione avversa alla nostra, ma è bene ricordare che ognuno ha le sue ragioni per credere adeguata la propria e che ciò che per ognuno è giusto non è legge per tutti e va rispettato.
E’ vero che c’è poi chi esagera e diventa più realista del Re, per cui, c’è chi non esce più di casa e non tocca più niente se non con i guanti e non si toglie mai la mascherina, e chi, per principio, non se la mette mai e interagisce e si muove come se non ci fosse alcun pericolo.
Detto questo, possiamo davvero dire di vivere un periodo di passaggio epocale.
Tutto ciò su cui si è lottato per rendere le città più vivibili, adesso sembra essere diventato ciò che è potenzialmente più pericoloso: l’utilizzo dei mezzi pubblici, i treni, la vicinanza fisica, i luoghi di ritrovo, le attività ludiche e sportive vissute insieme o accanto agli altri, tutto questo è diventato un possibile tramite di contagio virale.
Le macchine sono tornate ad essere dei mezzi di trasporto sicuro (sic), i beni confezionati sono preferibili a quelli sfusi, il giornale è meglio leggerlo on line, se si sta male non si va più al pronto soccorso ma si resta a casa, ecc.
Dobbiamo reinventarci il nostro vivere sociale, riprogrammare il nostro istintivo bisogno di socializzare e il bisogno della presenza dell’altro.
Pensate cosa può significare per un bambino essere in un centro estivo e non poter giocare con gli altri, toccarsi, scontrarsi, inseguirsi e correre a perdifiato.
Come loro, noi stessi dobbiamo rieducarci ad una nuova socializzazione, ad una nuova modalità di condivisione; e non è una cosa semplice: non sappiamo ancora farlo, e molti di noi non vogliono farlo: ci sembra impossibile e terribilmente ingiusto dover rinunciare a tutto questo.
Tutto parte da una pandemia che abbiamo fatto fatica a considerare così pericolosa come si è dimostrata; perché questo virus è stato estremante aggressivo e virulento.
Questa mia idea di pericolosità capisco che possa non essere condivisa, ma credo debba prendersi in considerazione il differente punto di osservazione di ciò che è successo: tra chi ha visto e non è stato toccato da ciò che è successo, e chi l’ha vissuto in prima persona.
Ma probabilmente, anche questo passerà, sarà come un incubo da cui ci risveglieremo e tornerà tutto come prima.
Beh! Proprio come prima, speriamo di no.
Ci sono tante cose che questa pandemia ci ha fatto vedere in modo diverso e che abbiamo visto accadere quando ci siamo dovuti chiudere in casa: per esempio, vedere come la natura reagisce a lasciargli un po’ di spazio; e come la nostra capacità di resilienza e la nostra creatività ci hanno permesso cose che forse non sapevamo di potere.
Questo, forse, sarebbe bello ripensarlo e prenderlo in considerazione.
Perché vi dico tutto questo?
Una delle ragioni, è personale, deriva dal bisogno di condividere uno sfogo su qualcosa che ho vissuto sulla mia pelle e che non avevo più voglia di tenere per me.
Un’altra, è che mi piacerebbe poter condividere con voi ciò che pensate di tutto questo, di sapere che cosa avete imparato, se qualcosa c’era da imparare, da questa quarantena. A presto.
Alessandro Quadernucci
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Vi aspettiamo!
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