“Ditemi cosa sapete, poi ditemi cosa non sapete, solo allora potrete dirmi cosa ne pensate” (C.P.)
Ci avete scritto in tanti, sbigottiti, indignati e smarriti dinanzi alla notizia che tre psicologhe, note e attive da anni nel mondo del Counseling, sono state radiate dall’albo regionale di appartenenza e quindi espulse dalla propria comunità professionale.
Un verdetto che non avremmo voluto mai sentire. L’espulsione è il segnale e l’esito di un fallimento, da cui far scaturire l’opportunità di una profonda riflessione, in un adeguato spazio di ascolto.
A titolo personale e dell’associazione che rappresento, esprimo pubblicamente tutta la solidarietà e il sostegno possibile, trasmesso direttamente a Claudia, Cecilia ed Emanuela, professioniste ineccepibili, interlocutrici colte e attente; per me preziose compagne di un tratto di viaggio, nel percorso vissuto insieme.
Capiamo quanto sia difficile sentirsi disconosciuti in casa propria e affrontare le spigolosità giudiziarie, per contestare una decisione e riaffermare un diritto.
In situazioni simili, è facile cadere nella tentazione del conflitto, dell’opportunismo politico, creando e infiammando opposte fazioni e divaricando così la forbice del dialogo. Ma siamo counselor e il nostro comportamento, la nostra coerenza professionale e di vita, incontra e misura qui, la sua consistenza reale.
Congruenza per un counselor, non significa orpello, è stile esistenziale, investe il lavoro e le relazioni.
E se crediamo in questo valore fondante, esso è incompatibile con l’esclusione, il pre-giudizio e ogni forma di astuzia, finalizzata ad estromettere chi ha un pensiero diverso dal proprio.
Questo evento così dirompente e inaspettato, è anche l’opportunità per guardare dentro la nostra comunità, dentro le nostre associazioni, che giustamente insorgono per ribadire la libertà di pensiero e condannare eventuali sorprusi, ma che poi al loro interno, ancora continuano a escludere, giudicare, isolare, chi è percepito come portatore di dissenso, solo perché esprime idee diverse, poco allineate col pensiero dominante.
Frammentazioni continue, piccole e grandi meschinità feriscono e tolgono vigore alla comunità e credibilità alle parole su cui fondiamo il nostro lavoro; uno specchio impietoso, ci restituisce oggi, riflessa, l’immagine di ciò che rischiamo di diventare.
Nel “ qui ed ora” Il Counseling italiano è chiamato a una sfida, un salto di qualità e di pensiero per far emergere le sue grandi potenzialità e noi counselor siamo tenuti a raccontare, vivere e testimoniare ogni giorno la nostra vera identità, ciò che ci differenzia e ci distingue dalle altre professioni, meritevoli tutte, dello stesso rispetto che chiediamo per la nostra.
In una comunità realmente dialogante e unita, come dovremmo essere oggi, questo è il momento per concentrarci tutti sul nostro “job” e la nostra “mission”, valorizzando e accogliendo ogni singolo apporto.
Senza questo scatto di reni, che ci faccia uscire dalla palude della conformismo, rischiamo di diventare come la rana bollita di Chomsky, che alla fine bruciò, assuefatta alla stagnazione e spaventata dal cambiamento.
Il mio pensiero va ai giovani counselor, che hanno scelto questo lavoro per passione e sono allarmati da notizie come questa. Non rinunciate al coraggio.
Affinate i mezzi per capire, studiare, informarvi. Siate esigenti, prima di tutto con voi stessi, competenti, curiosi; approfondite, imparate a usare anche gli artigli, se servono, per difendere i valori e la professione a cui tenete.
E sappiate discernere con saggezza e prudenza. Senza fretta. Non fermatevi alla prima osteria, dai colori luccicanti, che promette meraviglie e vi mostra la spada scintillante.
Anche Pinocchio, il burattino sprovveduto, cadde in trappole simili ;fu ingannato e depredato del suo tesoro, ma imparò la lezione e finalmente, si umanizzò.
Noi di FAIP ci siamo, come counselor e come persone, ben oltre una sigla.
Lì,07/08/2021
Il Presidente FAIP Counseling
(Giovanna Dettori)